Ariose carte su cui sembrano apparire fantasmi della memoria o di storie immaginarie, piccole e preziose tavolette (frammenti lignei in compensato, stuccati e trattati con colori a olio, con bitume, incisioni, collage di carte da imballaggio e carta velina bianca o avorio), parallelepipedi che tridimensionalizzano lo spazio della pittura per dar vita a storie circolari, laterali, spigolose. Il suo è un cosmo che si rivolge alla storia di qualcosa che non ha confine, alla storia delle idee suggerirebbe Foucault, quella degli aspetti secondari e marginali, delle conoscenze imperfette (dell’alchimia, della frenologia, dei temi atomistici), «delle filosofie umbratili che ingombrano» e vivacizzano «le letterature, l’arte, le scienze, il diritto, la morale e perfino la vita quotidiana degli uomini; storia di quelle tematiche secolari che non si sono mai cristallizzate in un sistema rigoroso e individuale, ma hanno formato la filosofia spontanea di quelli che non fanno filosofia» (Foucault). Prendendo per la coda un verso di Shakespeare, Domani nella battaglia pensa a me (Tomorrow in the battle think of me più esattamente) che ha ricordato anche Javier Marías in un suo struggente romanzo del 1994 (Mañana en la batalla piensa en mí), Valentina Vallorani accende una candela timida nella mente per tratteggiare fantasie di avvicinamento a un mondo magico svuotato dei suoi simboli e ridisegnato, stratificato, condensato con una elegante elasticità su carte di fortuna, strappate all’oblio quotidiano. Riciclare vecchi foglietti sgualciti, carte screpolate dal tempo, imballaggi dimenticati che conservano storie e sorrisi o contenitori, custodie, pacchi, astucci e scrigni vuol dire per Valentina Vallorani entrare nel campo degli incontri inaspettati, prendersi cura dell’antico e della sua eco, lavorare con una archeologia del sapere fatta di incroci, di memoria millenaria e collettiva, di avvenimenti minimi, di virate fantastiche, di battaglie mitiche e favolose: «le immagini di lunghe e lineari lance, la rotondità degli elmetti, il piacere nel disegnare la sinuosità elegante della forma del cavallo affiancandogli per contro le goffe forme di soldati in perenne caduta». La fantessa, Il duello, La badessa, Il diavolo e A caval Donato non si guada in bocca sono, in questo suo itinerario fantastico, carte di grande dimensione (tutte 70×100). E poi L’assedio, la Macchina da guerra, la Caduta da cavallo, i Soldati e gli Angeli, le figure androgine di Reregina o la delicatissima e disarmante serie Ab immemorabili: sono le immagini che popolano questa terra di mezzo dove appaiono diversi passati, diverse forme di concatenazione, diverse gerarchie di importanza, diverse sovrapposte complicità immaginarie, diverse battaglie che si stratificano sulla (nella) superficie per abbagliare e suggestionare lo spettatore, per guardare la storia lasciare il posto alle storie, per attendere che i fantasmi del tempo prendano volto, cerchino prepotentemente un nome.
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